I Partecipanti si giovano del diritto alle assegnazioni dalla discendenza delle famiglie degli originari, che ne beneficiarono con l'obbligo dell'incolato, cioè con la residenza sul posto. Si trattava di spazi incolti, boschivi, vallivi, paludosi, dei quali i vescovi, che ne vantavano il possesso e la giurisdizione, li fecero rendere produttivi in forma enfiteutica dalle comunità locali.
L'enfiteusi era una forma contrattuale di canone d'affitto assai diffusa nel Medioevo. Quando le terre cominciavano ad essere produttive, ai principi (perlopiù erano enti ecclesiastici) spettava una decima parte dei raccolti. La sottomissione dei Centopievesi ai Vescovi di Bologna deriva dall'atto del 1185 che ne riconfermava la loro giurisdizione. Superata la fase collettiva delle opere di bonifica delle Guardate, ovvero dei terreni di colmata, si giunse al frazionamento degli appezzamenti risanati che costituisce il complesso organizzativo e portante della Partecipanza Agraria, con le sue assegnazioni a sorte dei Capi a rotazione e a termine ai vari destinatari. Nel XIV e XV secolo, Cento e Pieve, già divisi municipalmente per volere del Card. Bonavalle nel 1376, videro un alternarsi di reggenze sui loro territori e il permanere fra loro dispute e cause comuni, in una gran confusione politica.
Tuttavia entrambe le cittadine di comune accordo si attivarono per difendere gli antichi privilegi sui Beni del Malaffitto e di Casumaro, desiderando conservarne il possesso unitario e collettivo con le distribuzioni dei lotti. Diritti confermati nel 1425 dal Card. Nicolò Albergati, che ne ribadì l'esclusione dei forestieri al godimento di detti beni. Il 10 settembre 1460 il papa Pio II autorizzava il Card. Filippo Calandrini a vendere in forma divisionale i terreni del Malaffitto agli Uomini di Cento e di Pieve iscritti all'estimo, sancendo in modo definitivo l'assegnazione dei singoli appezzamenti. Nasceva con questo atto la Partecipanza Agraria di Pieve di Cento, Il cui processo formativo è ormai divenuto intangibile.
I Partecipanti si giovano del diritto alle assegnazioni dalla discendenza delle famiglie degli originari, che ne beneficiarono con l'obbligo dell'incolato, cioè con la residenza sul posto. Si trattava di spazi incolti, boschivi, vallivi, paludosi, dei quali i vescovi, che ne vantavano il possesso e la giurisdizione, li fecero rendere produttivi in forma enfiteutica dalle comunità locali.
L'enfiteusi era una forma contrattuale di canone d'affitto assai diffusa nel Medioevo. Quando le terre cominciavano ad essere produttive, ai principi (perlopiù erano enti ecclesiastici) spettava una decima parte dei raccolti. La sottomissione dei Centopievesi ai Vescovi di Bologna deriva dall'atto del 1185 che ne riconfermava la loro giurisdizione. Superata la fase collettiva delle opere di bonifica delle Guardate, ovvero dei terreni di colmata, si giunse al frazionamento degli appezzamenti risanati che costituisce il complesso organizzativo e portante della Partecipanza Agraria, con le sue assegnazioni a sorte dei Capi a rotazione e a termine ai vari destinatari. Nel XIV e XV secolo, Cento e Pieve, già divisi municipalmente per volere del Card. Bonavalle nel 1376, videro un alternarsi di reggenze sui loro territori e il permanere fra loro dispute e cause comuni, in una gran confusione politica.
Tuttavia entrambe le cittadine di comune accordo si attivarono per difendere gli antichi privilegi sui Beni del Malaffitto e di Casumaro, desiderando conservarne il possesso unitario e collettivo con le distribuzioni dei lotti. Diritti confermati nel 1425 dal Card. Nicolò Albergati, che ne ribadì l'esclusione dei forestieri al godimento di detti beni. Il 10 settembre 1460 il papa Pio II autorizzava il Card. Filippo Calandrini a vendere in forma divisionale i terreni del Malaffitto agli Uomini di Cento e di Pieve iscritti all'estimo, sancendo in modo definitivo l'assegnazione dei singoli appezzamenti. Nasceva con questo atto la Partecipanza Agraria di Pieve di Cento, Il cui processo formativo è ormai divenuto intangibile.

