La Partecipanza Agraria di Pieve di Cento è stata legalmente costituita nel 1460, anno in cui gli uomini di Pieve, liberamente consorziati, acquistarono dal Cardinale Filippo Calandrini, Arcivescovo di Bologna, Principe del centopievese, il tenimento di Malaffitto esteso Ha 487.59.50.
Detto territorio era già stato assegnato in enfiteusi, poi in affitto - come risulta dai documenti datati 1213 - alle famiglie del centopievese le quali, con il duro lavoro delle loro braccia e la tenacia di chi si aggrappa alla vita, generazione dopo generazione, sono riuscite a strapparlo alle acque paludose e boschi ve, bonificandolo e migliorandolo per consegnarlo ai successori maschi legittimi attraverso le operazioni di divisione ventennale.
Dal XII secolo fino ai giorni nostri, per gli uomini del centopievese è stato un susseguirsi di lotte; le vicende note del territorio iniziano con il dissidio per il possedimento del conta do fra il Vescovo di Bologna ed il Comune di Bologna. Il titolo legittimato a favore del Comune verrà rilasciato nell'anno 1,220 dall'Imperatore Federico Il. Tuttavia negli anni 1232/33 i rapporti fra Comune cittadino e Vescovo divennero molto tesi a causa della spartizione delle giurisdizioni in diverse località del contado. Nel 1290 il centopievese risulta appartenere al Vescovo di Bologna. Tale possesso non poteva essere di lunga data e doveva essere avvenuto con il consenso del Comune di Bologna il quale non aveva, per il momento, motivo di conquista ne' economica ne' difensiva.
Fin dal 4 novembre 1253 il Vescovo di Bologna concede le prime enfiteusi agli abitanti del centopievese, su di un appezzamento di oltre 1.000 tornature poste a ovest del fiume Reno con l'obbligo di estirparle subito contro prestazione delle decime o della pensione annua da versarsi a marzo, consistenti in 20 soldi e lO bolognini.
Tali concessioni enfiteutiche furono fatte alle genti del centopievese essendo le due comunità unite fino all'anno 1376, anno in cui avviene la scissione di Pieve da Cento con la conseguente nascita di due comunità distinte.
Dal 1300 gli enfiteuti iniziarono a trattare per l'acquisto dei terreni da essi bonificati ma il Vescovo si limitava a concessioni in affitto di durata ventennale. Solo 1'11 settembre 1460 la gente di Pieve poteva, dopo anni di sfruttamento e di lotta, stipulare l'atto di acquisto che li legalizzava proprietari. L'atto conteneva la volontà del Vescovo di dividere i terreni fra gli uomini di Pieve in maniera definitiva.
Nel 1479 il Cardinale Francesco Gonzaga, nonostante le accanite opposizioni di coloro che volevano ripristinare la divisione, addiviene alla tragica sentenza che confermava la definitiva assegnazione dei capi compiuta nel 1460. Il lO agosto dello stesso anno veniva ucciso a Porta Pieve Bartolomeo Uggeri, Vescovo di Brugnato che, a torto o a ragione,
poteva essere l'ispiratore della infelice decisione del Cardinale Gonzaga.
Il Cardinale della Rovere, nel lodo del 22 febbraio 1484, in accoglimento delle suppliche dei centopievesi, decise di ripristinare la divisione ventennale.
Fin dal 1460 i tenimenti della Partecipanza venivano gestiti ed amministrati dal Consiglio Comunale. Solo dopo un lungo periodo di malcontento e soprusi, durato oltre cento anni, il Comune accorda all'Ente il diritto di una autonoma gestione attraverso i rappresentanti eletti direttamente dai Partecipanti. Era l'anno 1871.
Diversi furono i tentativi di sciogliere le Partecipanze; primo di tutti quello approvato dal Direttorio della Repubblica Cisalpina nell'anno 1798; successivamente nel 1874, per decreto del Prefetto Capitelli, le Partecipanze furono abbandonate a loro stesse e considerate private comunioni di beni. Furono così convocate delle Assemblee Generali per deliberare sul da farsi. I Partecipanti confermarono in accesi dibattiti, lungi dal proporre lo scioglimento, la concorde volontà della conservazione dell'istituto.
Successivamente, la tenacia della comunità viene premiata con l'emanazione della legge 4 agosto 1894, n. 397, che riconosce alle Partecipanze Agrarie la personalità giuridica.
La storia della Partecipanza non può essere sintetizzata in così poche righe. Illustri studiosi hanno documentato in maniera precisa la vita delle Partecipanze Agrarie Emiliane - uniche in Italia - tuttora esistenti a S. Giovanni in Persiceto, Nonantola, S. Agata Bolognese, Cento, Villa Fontana e Pieve di Cento, hanno identificato, nella storia dei singoli comuni, la caratterizzazione precisa ed inconfutabile dell'apporto sociale e produttivo dato nei secoli dalle stesse.
Lo scopo di assicurare alla comunità partecipante, costituita da povera gente, un piccolo patrimonio, che non può vendere, ma che deve trasmettere alle future generazioni, come fu trasmesso dalle passate, per provvedere ai loro bisogni essenziali, spiega la grandissima affezione che i Partecipanti e tutti i cittadini di questi Comuni nutrono per l'Ente.
In mancanza di questo spirito, le Partecipanze non avrebbero resistito nei secoli all'urto delle insidie degli uomini, alle rivoluzioni politiche, all'avvicendarsi dei governi, ai regimi ed allo stesso Napoleone.
Esse hanno in loro stesse la ragione d'essere, hanno il germe della vitalità e della conservazione.
Nei Partecipanti, uomini provati, tenaci e frugali, abituati ai disagi ed alle fatiche, uomini, soprattutto, che hanno appreso dalla durissima esperienza, generazione dopo generazione, che solo nella solidarietà reciproca, è riposta ogni speranza per la concreta possibilità di sopravvivenza della secolare istituzione ed il superamento delle comuni difficoltà.
I Partecipanti si giovano del diritto alle assegnazioni dalla discendenza delle famiglie degli originari, che ne beneficiarono con l'obbligo dell'incolato, cioè con la residenza sul posto.
Si trattava di spazi incolti, boschivi, vallivi, paludosi, dei quali i vescovi, che ne vantavano il possesso e la giurisdizione, li fecero rendere produttivi in forma enfiteutica dalle comunità locali.
L'enfiteusi era una forma contrattuale di canone d'affitto assai diffusa nel Medioevo. Quando le terre cominciavano ad essere produttive, ai principi (perlopiù erano enti ecclesiastici) spettava una decima parte dei raccolti. La sottomissione dei Centopievesi ai Vescovi di Bologna deriva dall'atto del 1185 che ne riconfermava la loro giurisdizione.
Superata la fase collettiva delle opere di bonifica delle Guardate, ovvero dei terreni di colmata, si giunse al frazionamento degli appezzamenti risanati che costituisce il complesso organizzativo e portante della Partecipanza Agraria, con le sue assegnazioni a sorte dei Capi a rotazione e a termine ai vari destinatari.
Nel XIV e XV secolo, Cento e Pieve, già divisi municipalmente per volere del Card. Bonavalle nel 1376, videro un alternarsi di reggenze sui loro territori e il permanere fra loro dispute e cause comuni, in una gran confusione politica.
Tuttavia entrambe le cittadine di comune accordo si attivarono per difendere gli antichi privilegi sui Beni del Malaffitto e di Casumaro, desiderando conservarne il possesso unitario e collettivo con le distribuzioni dei lotti. Diritti confermati nel 1425 dal Card. Nicolò Albergati, che ne ribadì l'esclusione dei forestieri al godimento di detti beni.
Nasceva con questo atto la Partecipanza Agraria di Pieve di Cento, Il cui processo formativo è ormai divenuto intangibile.